Coagulazione: esami clinici (parte prima)

Come si evince dal precedente articolo sugli anticoagulanti la coagulazione del sangue include numerosi e complessi processi fisici e biochimici che vengono attivati e modulati con estrema precisione onde evitare i disturbi coagulativi che hanno come eventi estremi l’eccessiva coagulazione (trombosi) o la assenza di coagulazione (emorragia).

Esistono numerosi esami clinici che vengono utilizzati per valutare tali processi tra cui i più richiesti:

  • Piastrine
  • Tempo di protrombina
  • Fibrinogeno
  • D-dimero
  • Tempo di tromboplastina parziale
  • Antitrombina III

Tali esami possono essere utilizzati sia per valutare la fisiologia del paziente ed eventuali patologie in corso sia per monitorare l’attività farmacologica di terapie anticoagulanti od antiaggreganti come descritto nell’articolo introduttivo alla coagulazione. Vista l’estrema complessità degli argomenti trattati affronteremo le singole analisi in termini molto superficiali.

Piastrine

Normalmente compreso nell’esame emocromocitometrico, per il quale rimando all’articolo sull’emocromo, il valore delle piastrine nel sangue ricopre un ruolo fondamentale nella valutazione della capacità coagulativa. Un abbassamento delle piastrine sotto certi limiti (piastrinopenia) può infatti comportare una minore capacità di formazione del tappo piastrinico. Se il Laboratorio non è dotato di apparecchiature in grado di evidenziare gli aggregati piastrinici (vedi vademecum emocromo) è sempre bene procedere, in caso di piastrinopenia, all’esame dello striscio di sangue periferico (vedi link emocromo) alla ricerca di aggregati piastrinici. Infatti aggregandosi le piastrine potrebbero essere contate per difetto (lo strumento legge meno elementi di quelli presenti).

Un aumento del numero delle piastrine (piastrinosi) può invece comportare un rischio trombotico, ossia la formazione di trombi in maniera eccessiva, col rischio di andare a “tappare” piccoli vasi provocando interruzioni più o meno prolungate di afflusso sanguigno nei vari distretti.

trombo

(Formazione di un trombo in una vaso già interessato da una formazione aterosclerotica. Notare come i due fattori contribuiscano sinergicamente all’occlusione.)

Tempo di protrombina


Il Tempo di protrombina (o PT) consiste nella valutazione del tempo di formazione di fibrina partendo da un plasma al quale si aggiunge tromboplastina e calcio (elementi inattivati proprio dagli anticoagulanti presenti in provetta). In parole povere si vuole studiare con quale velocità avviene uno degli ultimi passaggi che porterà alla coagulazione.

coagulazione

(In blu il processo, bloccato durante la fase preanalitica per ottenere il plasma, che viene attivato dalla tromboplastina portando a formazione di trombina. Notare la complessità dei passaggi coagulativi)

E’ utilizzata per lo più per monitorare le terapie anticoagulanti a base di dicumarolici o warfarina . Poiché diversi reattivi portano a diversi risultati, nel referto troveremo tre valori:

  • tempo di formazione fibrina, espresso in secondi
  • tasso (espresso in percentuale)
  • INR (International Normalised Ratio)

Quest’ultimo è un valore normalizzato, ossia calcolato dalla strumentazione sulla base di dati forniti dal produttore del reattivo, che è assolutamente confrontabile seppur eseguito in laboratori diversi.

effetto anticoagulante

(Effetto dell’anticoagulante sui singoli valori del tempo di protrombina)

Se si assumono anticoagulanti del tipo di cui sopra il tempo e l’INR aumentano mentre il tasso diminuisce. E’ il medico specialista a suggerire , caso per caso, il valore di INR ideale per essere “protetti” da eventi trombotici. Un paziente che non assume anticoagulanti avrà un tasso vicino al 100% ed un INR vicino ad 1. Il paziente trattato dovrà avere un INR intorno al 2,5.

tap

(Esempio di risultato.  Il paziente in questo caso NON assume anticoagulanti. )


Nel prossimo articolo parleremo degli altri esami citati in precedenza

Dott.Mileto Carrubba

Biologo

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